Giancalo Caselli presenta a Cuneo il suo ultimo libro "Le due guerre"

ANNA CATTANEO – Una sala San Giovanni senza poltrone vuote ha accolto con entusiasmo Gian Carlo Caselli, arrivato a Cuneo per presentare il suo libro: “Le due guerre. Perché l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia”.

Il pubblico deve pazientare perché alle 18 il Procuratore capo di Torino non è ancora arrivato. Quando però il numero dei carabinieri in divisa aumenta, tutti capiscono che sta per entrare di lì a poco. Solo quando la scorta si allenta, la gente si accorge della sua presenza in sala e un applauso caloroso lo accompagna a salutare Gianluca Serale e Ignazio Fino del presidio cuneese di Libera.

Gian Carlo Caselli inizia con una lunga serie di grazie e l’ultimo va proprio a Libera che definisce “uno dei modi più decisivi di fare antimafia sociale”. Subito entra nel vivo, iniziando a parlare del libro scritto assieme al figlio Stefano, giornalista, che ha raccolto in una galleria di personaggi, aneddoti e ricordi, trent’anni della vita del padre trascorsi a combattere prima il terrorismo poi la mafia.

Caselli rievoca da principio la Torino degli anni Settanta, il clima pesante, “di piombo”, che i giovani seduti davanti a lui ignorano o conoscono attraverso la lente romanzata di film e serie televisive. Il terrorismo delle Brigate rosse e di Prima linea è stato sconfitto, ricorda Caselli, anche grazie alla presa di coscienza della società che ha riconosciuto la violenza terroristica come altro da sé e quindi l’ha ripudiata.

Le assemblee nelle fabbriche, le discussioni fra la gente hanno isolato politicamente e messo in crisi l’immagine dello Stato nemico che quei fanatici armati avevano costruito per giustificare la loro barbarie. Così il Movimento si è sgretolato e si è creata quella “slavina di pentiti” che, come ricorda Caselli, ha travolto le Br e Prima linea disrtuggendole.

Questo però non è avvenuto con le mafie perché la criminalità organizzata ha saputo creare un “impasto perverso” con pezzi dell’economia, della politica e della società. Sono le cosiddette “relazioni esterne”, come le chiama il Procuratore, una fitta ragnatela costituita di interessi comuni e scambi di favori che ha finito per creare una “zona grigia” difficile da indagare.

E’ a questo punto che Caselli torna a parlare di Libera, proprio per la sua capacità di materializzare l’antimafia sociale, di preparare il terreno sul quale può innestarsi lo stesso meccanismo di rifiuto che aiutò i magistrati a sconfiggere il terrorismo. Già Paolo Borsellino aveva capito che “la lotta alle mafie non si può ridurre ad una partita a guardie e ladri” e, in questo senso, Libera rappresenta la volontà di non stare a guardare la partita ma scendere in campo, riappropriarsi dei diritti per “diventare cittadini di uno Stato e smettere di essere sudditi della mafia”.

L’intervento di Gian Carlo Caselli si conclude con il racconto della sua vita sotto scorta da 35 anni e, come all’inizio, torna a dire grazie. Grazie a quei militari che hanno saputo combinare “efficienza e cordialità”, regalando a lui e alla sua famiglia momenti di relativa serenità nella bufera di una guerra perenne.

Il pubblico, muto per quasi mezz’ora, si ritrova in un applauso che sembra non voglia smettere. Gian Carlo Caselli sorride, ancora ringrazia e risponde puntuale a qualche domanda. Dopo gli autografi e le fotografie i suoi capelli candidi spariscono un’altra volta in mezzo alle spalle robuste degli uomini della scorta: “una piuma dentro una scatola” così come si è descritto nel suo libro.

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